L'ostentazione sterile di titoli accademici da parte di figure pubbliche, spesso accompagnata da una pretesa di rispetto formale e da una palese frustrazione provinciale, stride con la loro assenza di reale impegno sociale. Questi individui, che ricoprono ruoli politici e amministrativi, talvolta persino in settori delicati come i servizi sociali, si distinguono per una boriosa autoreferenzialità e un'indifferenza verso le vere necessità della comunità. Nel contempo, questi stessi soggetti, inseriti in reti di potere nel funzionariato e nel privato, mantengono un silenzio complice su verità scomode e su un sistema che permette loro di trarre benefici personali. Questo silenzio eticamente discutibile mina i principi di onestà, trasparenza e morale, tradendo la fiducia dei cittadini. Si delineano così sistemi di relazioni basati sullo sfruttamento dell'ingenuità e sulla coltivazione di amicizie di convenienza, finalizzati al potenziamento di privilegi individuali. Questa dinamica avviene a scapito di una crescita reale e inclusiva della comunità, lasciando poche o nulle tracce positive concrete al di là di una retorica di facciata. Chi osa criticare questo sistema viene spesso ostacolato, calunniato e intimidito, con conseguenze negative per lo sviluppo del territorio e per il benessere dei cittadini che aspirano a una società più giusta. Questa situazione evidenzia l'urgenza di una critica costruttiva e coraggiosa, un ambito in cui pochi si avventurano a causa della diffusa tendenza ad assecondare un sistema opaco, costruito su parole vuote e luoghi comuni. In un contesto culturale stagnante e compromesso, dove il coraggio della ribellione sembra latitare, resta l'interrogativo sulla capacità delle nuove generazioni di invertire questa tendenza e di promuovere un cambiamento autentico.